Ammiccamenti animalisti
Negli ultimi giorni imperversa la campagna contro la caccia della Fondazione Capellino, che di fatto è proprietaria di famosi marchi di alimenti per cani e animali domestici. La campagna è corredata di un dossier, che evidenzia tutti i mali della caccia, che, nulla è, se non un collage di tutte, le ormai ritrite bufale, che il sistema di informazione anti caccia usa da tempo per screditare l’attività venatoria e i cacciatori. Trattasi, comunque, di una chiara iniziativa economica che ammicca a quel mondo animalista che è disposto più dei cacciatori a spendere cifre enormi nei prodotti riconducibili alla Fondazione. E’ chiaro che il contesto della proposta di riforma della 157 e la reazione spropositata che ha causato a tutti i livelli sono anch’esse basate su analisi false e sbagliate. Un antico detto latino diceva “qui prodest”? A chi giova tutto questo? Non certo ai cacciatori, o almeno non a tutti, infatti, sono fermamente convinto che una parte del mondo venatorio e agricolo tenterà, in questo clima di scontro ferale, di demolire completamente la caccia sociale e pubblica nel nostro paese, all’ insegna di un nuovo e ritrovato percorso di armonia tra la società civile e la caccia. Questo è il vero tema in gioco, di questo, forse in maniera inconsapevole per tanti, stiamo discutendo. A questo obiettivo servono la campagna della Fondazione Capellino e i commenti positivi che riceve.
Il cuore della tradizione
Anche la proposta di modifica in discussione in parlamento contiene i semi di questo percorso (introduzione del fine di lucro nella gestione della selvaggina, ad esempio, e l’ attacco all’ATC prevedendo nomine nazionali nei comitati come quella di ENCI ). L’attacco vero è quindi al cuore della tradizione e della cultura venatoria italiana che, invece, oggi è sintetizzata in maniera equilibrata dalla 157. Il modello di riferimento è quello dei sistemi del Nord Europa? In espansione come numero di praticanti? I numeri vanno approfonditi, ad esempio, oggi in Germania, con 90.000.000 di abitanti e tre volte il territorio italiano e con aree demaniali 10 volte più estese delle nostre ci sono gli stessi cacciatori che in Italia. Chi pensa che sia giusto e naturale così, contribuisca al dibattitto in corso e lo dica chiaramente ai cacciatori e all’opinione pubblica. Una cosa però, non si parli di modernità, questo è il modello di attività venatoria in voga negli anni dal medioevo fino per lo meno agli anni trenta del ‘900. Spesso si cita l’art. 842 del codice civile come se fosse solo un favore nei confronti della caccia. Un analisi attenta lo deve necessariamente inquadrare in una peculiarità del sistema giuridico italiano che, dopo la disgregazione del grande latifondo, che in Italia è avvenuta in epoca recente, praticamente nel secolo scorso, ha portato un’ frazionamento della proprietà privata agricola senza precedenti a livello Europeo.
Articolo 842
Esisteva, quindi, la necessità di salvaguardare una serie di modalità di utilizzo del territorio che rischiavano di essere messe in crisi dal repentino affermarsi della proprietà privata. Basti pensare alla rete delle strade e sentieri interpoderali privati, ma il cui uso pubblico è tutelato dalla legge, o il sistema, tutto italiano, delle servitù di passaggio che tutelano l’accesso ai fondi a prescindere dalla proprietà delle aree. Diciamo questo non per fare vedere che anche in Arci Caccia studiamo, ma per dimostrare che l’attacco all’842 si porta dietro una logica che comprometterà, in generale, un uso pubblico del territorio privato caro a tanti, non solo ai cacciatori, che politici attenti del passato avevano colto e salvaguardato. Arci caccia tiene, invece, a questa cultura tipica italiana e tiene a questo modello, che non ritiene nostalgico. Non vogliamo accettare che la caccia se fatta da pochi che pagano molto sia accettabile, moderna e sostenibili, mentre se fatta da tutti, nell’ambito di un sistema di regole pubbliche, sia anacronistica. In questo modo, la mediazione tra i vari interessi è affidata al denaro, non alle persone e al confronto tra loro. Tanti italiani, per lottare contro questo principio, hanno speso una vita, noi siamo ancora quelli, come cacciatori e come cittadini (Christian Maffei – Presidente Nazionale Arci Caccia).


































