Caccia: Assemblea Federcaccia. Il presidente dell’associazione venatoria ha tracciato un quadro nero nel tradizionale incontro. E sui 15.500 tesserati Federcaccia ben 2.500 sono sopra i 70 anni Bruni: «Nessun parlamentare bresciano si è mai speso per noi».
BRESCIA: È proprio un momentaccio per i cacciatori bresciani. Il bilancio presentato ieri nell’assemblea di Federcaccia parla di un calo costante nel numero di tesserati, scesi di mille unità in un anno, e di un trend nazionale inesorabile che, secondo il presidente Marco Bruni, «annuncia un ulteriore tracollo per l’anno prossimo». Le cause? Secondo Bruni sono da ricondurre all’incerto clima legislativo regionale e nazionale, così come al calo dei giovani interessati, basti pensare che sui 15.500 soci della provincia, 2.500 sono over 70. Un situazione che ha ridotto le entrate, tanto che la federazione medita di accedere al 5 per mille per fare cassetto.
MA I BOCCONI AMARI vanno oltre e le recriminazioni della federazione non risparmiano la politica, a tutti i livelli: «Abbiamo subito un voltafaccia e assistito a un imbarazzante silenzio a Palazzo Madama come al Pirellone – ha denunciato Bruni -; non c’è stato nemmeno un parlamentare bresciano che abbia levato una voce per far valere i nostri diritti». Le accuse più pesanti, in generale, sono rivolte al ministro Brambilla che, secondo Bruni, è convinta che «per salvare il turismo in Italia basti chiudere la caccia».
La scocciatura più grossa per i cacciatori è una proposta di modifica di legge che prevede che i proprietari di un fondo possano impedire l’esercizio della caccia al suo interno, cosa fin’ora impossibile. Oltre a ciò, il progetto sollecita un’ulteriore variazione che aumenterebbe il raddoppio delle distanze che il cacciatore deve rispettare per sparare nella vicinanza di immobili o vie di comunicazione.
Modifica auspicata, ma che ancora pare una chimera, sarebbe invece quella relativa alle aree protette oggetto di una norma del ’91 e frutto, secondo Bruni, di «una sciocca convinzione che ritiene che l’ambiente si tuteli solo a suon di divieti». Altro grattacapo sembra essere il decreto legislativo in vigore dal prossimo primo luglio che, nonostante non introduca particolari veti per i titolari di porto d’armi da caccia o sportive, potrebbe essere complicato dalla profilata decisione del ministro dell’Interno di adottare nuovi requisiti di idoneità psico-fisica con, ciliegina sulla torta, una possibile revisione straordinaria delle licenze già rilasciate.
GRANDE DELUSIONE, per le doppiette bresciane, soprattutto per la mancata approvazione del decreto sulla caccia in deroga. «Credo che sia stato già detto tutto – ribadiscono i federati -: era troppo pensare che i nostri parlamentari europei facessero valere le proprie voci?». A nulla sembra essere servito il sollecito al parlamento del consiglio regionale del 15 marzo scorso per facilitare le Regioni ad adottare i provvedimenti attuativi. «Il progetto – ha rimarcato Bruni – è un modo pilatesco di affrontare il problema per scaricare la patata bollente su altri».
«Intanto – affonda Bruni – nel vicino Veneto i gruppi di Pdl e Lega hanno presentato due progetti di legge per il prelievo in deroga. Probabilmente vi è qualche dissapore fra i due perché i progetti sono identici, ma quel che conta è che là si muove qualcosa». Bruni sa che attendersi una presa di posizione è utopia: «Giugno è alle porte e urgono soluzioni. Sarà una legge, sarà una delibera della giunta? Oppure non se ne farà nulla come l’anno scorso per paura delle procedure di infrazione comunitarie?».
L’elenco delle recriminazioni è lungo: la legge da rivedere sui roccoli, la mancata revisione della legge regionale sulla caccia, una diversa classificazione delle cosiddette Zps ( zone a protezione speciale). «Quest’ultima appare paradossale – ha ribadito Bruni – e ha finito per creare problemi anche alle popolazioni che abitano in quelle aree, impedendone lo sviluppo». Per Brescia la questione è limitata alla Zps dell’Alto Garda, identificata come valico alpino, quindi oggetto di divieti venatori.
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