Emergenza ungulati
Sono positive le prime valutazioni espresse da Cia Alessandria-Asti e Cia Piemonte dopo l’incontro sul tema fauna selvatica organizzato da Cia nazionale a Roma con il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida. La proposta di riforma della legge 157/92 sulla fauna selvatica rappresenta finalmente il primo passo concreto per la revisione di una normativa obsoleta e carente che, ormai da anni, non consente più di far fronte all’emergenza ungulati, nonostante i danni milionari ad agricoltura e ambiente, il rischio di malattie, gli incidenti stradali sempre più frequenti e le minacce alla sicurezza dei cittadini anche nelle aree urbane.
Situazione fuori controllo
Ha detto il presidente Cia Piemonte Gabriele Carenini: “Riformare la legge sulla fauna selvatica è l’ultima possibilità che abbiamo per ristabilire l’equilibrio naturale sul territorio, tutelando l’ambiente e l’agricoltura. Non è vero che in questi anni non si è fatto nulla, ma l’impatto della fauna selvatica è diventato tanto rilevante da finire fuori controllo. Gli strumenti ordinari non bastano più, ci vogliono interventi straordinari. La legge attualmente in vigore, vecchia di oltre trent’anni, è superata dalla realtà dei fatti, c’è bisogno di una riforma radicale e immediata”. Aggiunge la presidente Cia Alessandria-Asti Daniela Ferrando, presente insieme al suo vice Amedeo Cerutti e al direttore Paolo Viarenghi: “Non si parla solo di cinghiali, per colpa dei quali in alcune aree interne del Paese gli agricoltori hanno rinunciato a seminare, ma i danni ormai sono evidenti anche sulle colture arboree, nelle vigne, dove spopolano i caprioli e altre specie selvatiche. Le aziende agricole più ‘fortunate’, che ancora continuano l’attività, sono comunque costrette a mettere preventivamente in bilancio una quota di perdita provocata dalla fauna selvatica”.
Specie in sovrannumero e infestanti
Sul tema della Peste suina africana, Carenini ha affermato: “Se fare in modo che i cinghiali non escano dalle zone infette è stato un buon provvedimento sanitario, bisogna compensare gli agricoltori che in quelle zone cuscinetto si sacrificano per tutti, subendo le conseguenze delle restrizioni. E poi, parallelamente alle attività di controllo e biosicurezza, è opportuno che anche nelle zone rosse si proceda con gli abbattimenti dei cinghiali, per evitare che il loro numero diventi incontrollabile”. Se la legge del 1992 si focalizzava sulla protezione della fauna, oggi la situazione si è ribaltata, con alcune specie in sovrannumero se non infestanti. L’esempio più lampante riguarda i cinghiali, responsabili dell’80% dei danni al settore agricolo: si è passati da una popolazione di 50 mila capi in Italia nel 1980 ai 900 mila nel 2010, fino agli oltre 2 milioni di oggi.
Piani di contenimento
In particolare, tra le istanze di Cia accolte nel testo attuale del disegno di legge, spicca il riconoscimento del ruolo attivo degli imprenditori agricoli nel controllo della fauna selvatica, in primis dei cinghiali. Il ddl prevede, infatti, la possibilità per gli agricoltori, muniti di licenza venatoria e specifica formazione, di partecipare direttamente ai piani di contenimento, anche in contesti emergenziali, contribuendo da un lato a un presidio più capillare e tempestivo del territorio e, dall’altro, rispondendo alla richiesta del settore di strumenti operativi per difendere le colture e il bestiame e tutelare l’attività agricola. Positivo, per Cia, anche il potenziamento della funzione degli ATC (Ambiti Territoriali di Caccia), ai quali è affidato il compito di promuovere sinergie con il mondo agricolo e che potranno incentivare pratiche favorevoli al riequilibrio della fauna selvatica. È una delle richieste più sentite dalla Confederazione e da tutti gli agricoltori, l’istituzione di un fondo di compensazione e di procedure semplificate per il ristoro. Inoltre, servirebbe una cabina di regia nazionale, anche con rappresentanza agricola, perché la responsabilità del contenimento è ancora troppo frammentata tra enti diversi (Regioni, Province, forze di polizia, gestori delle aree protette) con rischio di scarsa efficacia; infine, un maggiore ruolo delle organizzazioni agricole nella governance e nella programmazione faunistico-venatoria.