Poco meno di 30mila follower su Instagram e una passione con la P maiuscola per la caccia: si può descrivere in questa maniera Stefano Castellani, cacciatore romano classe 1984 che può essere definito (anche se lui la considera un’esagerazione) un influencer dell’attività venatoria. Un seguito del genere sui social è raro da trovare, soprattutto quando c’è di mezzo un argomento delicato come la caccia e il merito è la schiettezza dei video e dei contenuti che vengono condivisi regolarmente per approfondire le questioni venatorie di stretta attualità. Una condivisione iniziata quasi per caso, nel 2021 e in piena era covid. La redazione di Caccia Passione lo ha intervistato per conoscerlo meglio.
Stefano, si parla troppo poco dei giovani cacciatori ma ci sono eccome. Cosa ne pensi?
Col tempo mi sono reso conto che ci sono tanti ragazzi che vanno a caccia, ma spesso non lo esternano magari per paura di ricevere qualche accusa. Sono tanti gli aspetti che andrebbero analizzati con i giovani e la caccia: la mia generazione è cresciuta con la coda di quella che poteva essere una caccia autentica, negli anni Novanta, e in parte l’ha vissuta. Oggi sono cambiati i tempi e l’approccio è diverso. Di questo ti accorgi facilmente: ora ad esempio siamo contenti quando ci concedono la pre-apertura al piccione torraiolo, ma in realtà abbiamo perso la pre-apertura alla tortora che rappresentava una festa quando ero più piccolo. I più giovani non possono sapere cosa si è perso.
Il tesserino venatorio digitale continua a dividere: c’è chi lo ritiene indispensabile e chi troppo complicato. Tu da che parte stai?
Ci sono diversi punti di vista. Per una raccolta dati il tesserino digitale è la scelta migliore perché nell’epoca della digitalizzazione è uno strumento più immediato ed è più semplice far arrivare le informazioni a chi le deve analizzare. Il primo punto controverso è: a chi arrivano questi dati? E poi quanti cacciatori anziani seguirebbero questa procedura? Già il tesserino cartaceo è complesso da compilare per via delle sue dimensioni, quello digitale lo sarebbe ancora di più.
Quali sono, secondo te, i problemi principali della caccia in Italia?
Sono davvero tanti, a partire dalla frammentazione a livello associativo. C’è poi la questione della comunicazione che manca del tutto: da parte mia, non voglio convincere un anticaccia ad andare a caccia, ma mettere davanti agli occhi dell’indeciso e di chi non conosce questa attività quello che è realmente il mondo venatorio. Personalmente ho deciso di andare a caccia da sempre e non mangio carne comprata, ma solamente cacciagione che è la soluzione più sostenibile: ad esempio per produrre un hamburger classico è necessario il consumo di 2mila litri d’acqua, mentre per un hamburger di colombaccio l’impatto è minimo.
C’è poi la questione dei calendari venatori e dei continui ricorsi e controricorsi: come si può risolvere?
Di base il primo passo sarebbe far pagare a queste persone i ricorsi che presentano. Fino a poco tempo fa non c’erano le spese, ora sembra che paghino ma a me non risulta. Già questo sarebbe un primo passo, poi il ricorso al TAR permette se non altro di bypassare il problema sfruttando il calendario venatorio della stagione precedente. Purtroppo chi si oppone lo fa in modo poco propositivo.
Una nuova stagione sta cominciando, quindi ti chiediamo: cosa significa per te la caccia?
Per me la caccia è tutto, la vivo a 360 gradi. Mi ricorda di quando ero ragazzino e la vivo tutti i giorni tra animali, cane e addestramento dei piccioni. E poi è qualcosa che mi permette di rimanere attaccato alla tradizione della mia famiglia, visto che entrambi i miei nonni erano cacciatori. Insomma la caccia fa parte della mia famiglia come anche di quelle degli altri cacciatori.